Lo storytelling per documentari

In questo articolo sullo storytelling spieghiamo del perché un documentario che racconta una storia crea interesse ed empatia mentre uno in stile Wikipedia oppure un filmato aziendale tradizionale fa scappare gli spettatori.
Perché abbiamo scritto questo articolo

Questo articolo è stato scritto per spiegare come Qui Ticino lavora e mostrare il processo per arrivare al risultato finale. Iniziamo parlando del formato che usiamo per raccontare le storie.

Documentario o documentario breve

È la tipologia di film che realizza Qui Ticino. Creiamo un racconto secondo uno processo ben definito che, con una durata tra i 3 e i 30 minuti, mette in evidenza i punti principali di una storia, quelli più interessanti che possono creare una connessione con gli spettatori.

Storytelling vs stile Wikipedia

Ci sono i documentari in stile Wikipedia che espongono una lista d’informazioni in modo decisamente noioso e ci sono documentari, che attirano l’attenzione dello spettatore anche se si tratta di un argomento che non conosce o non gli ha mai interessato perché ricorrono allo storytelling.

Prendere e dare

Nella prima categoria rientrano anche tutti i filmati di aziende o persone che mostrano quello che fanno con lo scopo di vendere qualcosa. In questi casi il messaggio pubblicitario è così palese che lo spettatore lo percepisce subito, si cerca di prendere l’attenzione senza dare niente in cambio. Non è uno scambio equo, quindi non funziona, lo spettatore interrompe la visione dopo i primi secondi. Questa è un’occasione sprecata per creare una connessione vera e duratura con lui.

Le emozioni

I documentari che funzionano attirano lo spettatore con una storia che deve coinvolgerlo come se si trattasse di un film, quindi prendere la sua attenzione e mantenerla fino alla fine dandogli in cambio informazioni utili ma specialmente emozioni che possono andare dall’ispirazione alla commozione. Quando ci sono di mezzo le emozioni, la connessione scatta automaticamente, siamo animali sociali e l’empatia è parte di noi.

Ma come si può emozionare lo spettatore?

Sembra strano ma le emozioni più vere si ottengono con una fase di pre-produzione accurata che individua i punti chiave da raccontare, poi sta a chi li racconta farlo nel modo più naturale possibile. Un buon risultato dipende anche da quanto siamo in grado di mettere a proprio agio chi sta parlando.

L’unico modo per avere un risultato spontaneo è quello di creare un dialogo, non il classico domanda e risposta ma una reale conversazione con la volontà di sentire, capire e chiedere qualcosa in più. Per farlo bene bisogna essere preparati e sapere dove indirizzare il discorso per toccare tutti i punti chiave individuati durante la fase di pre-produzione. È un mix di tecnica ed empatia che s’impara con l’esperienza.

Il protagonista della storia è la chiave principale e prima di girare bisogna esplorare a fondo questi tre punti: desiderio, unicità e complessità.

Non si tratta tanto di sapere se queste qualità sono presenti ma di capire quanto sono forti e il nostro compito come narratori è di tirar fuori queste caratteristiche da una persona.

Per spiegare meglio approfondiamo ogni voce.

Unicità

È ciò che rende il personaggio diverso da chiunque altro. Come esseri umani, il nostro cervello è cablato per prestare attenzione alle novità. Questo significa che più il personaggio è diverso, unico nel suo genere, più può attirare gli spettatori nella sua storia.

Desiderio

È ciò che il personaggio vuole più di ogni altra cosa. Più il personaggio è appassionato e spinto a raggiungere il suo obbiettivo, più il pubblico tiferà per lui. È attraverso il desiderio del personaggio che creiamo la propensione emotiva all’empatia. Il desiderio rende attrattivo il nostro personaggio.

Complessità 

È il perché il personaggio vuole quello che vuole. La complessità dà al personaggio profondità e/o integrità. Sostiene la connessione del pubblico con il personaggio. Fornisce allo spettatore una ragione per credere in lui, per tifare perché raggiunga il suo desiderio.

Complessivamente, l’unicità, il desiderio e la complessità lavorano insieme per attirare lo spettatore, coinvolgerlo e sostenere la sua connessione con il personaggio principale. Ed è il personaggio principale che servirà come veicolo per condurre gli spettatori allo scopo finale della storia che si vuole raccontare.

La storia

Ma il personaggio da solo non basta, bisogna individuare una storia in cui farlo muovere, la sua storia naturalmente ma non deve essere una biografia temporale da quando è nato fino ad oggi, altrimenti perderemo l’attenzione del pubblico perché diventeremo noiosi. Sempre in fase di pre-produzione bisogna individuare i punti chiave e come sistemare questi elementi all’inizio, al centro e alla fine del film. I punti chiave sono i momenti critici nella storia di un personaggio, quelli che hanno plasmato il suo viaggio, alcuni sono specifici, legati a momenti o eventi, altri sono generici includendo influenze culturali, pressioni sociali inserendo il personaggio in un contesto storico e/o ambientale.

Una volta decisi i punti chiave bisogna distribuirli lungo la storia dandogli una struttura solida che nella sua unicità rispetti comunque quello che comunemente si chiama arco narrativo.

Generalmente ogni storia è divisa in tre parti, un 25% è l’inizio dove si mostra di cosa si parla e la direzione, il 50% è la parte centrale, quella del viaggio, i punti chiave della vita / attività del personaggio e il restante 25% è la fine, la risoluzione, la parte emozionale dove si lascia allo spettatore trarre le sue conclusioni.

La chiave della storia per mantenere l’attenzione degli spettatori è nella crescita dell’emozione fino alla parte finale avendo chiaro, prima di iniziare le riprese, di aver individuato questi quattro punti:

1. Trovato il personaggio principale ed eventuali secondari e/o esperti, questo crea connessione.
2. Individuato lo scopo del film perché questo crea chiarezza.
3. Messo i punti chiave nella loro posizione migliore all’interno della storia per creare coinvolgimento.
4. Stabilito i posti, aree o città e il tempo (stagioni, suddivisione della giornata) dove si svolge la storia perché creano autenticità.

La pre-produzione, la produzione e la post-produzione

Una volta stabilite tutte le necessità e intenzioni in una fase di pre-produzione che generalmente dovrebbe richiedere il 50% di un progetto, si passa alla fase delle riprese, che idealmente dovrebbero essere solo il 20% del tempo, che a questo punto saranno mirate e non casuali seguendo uno storyboard (una lista di punti e immagini da coprire/riprendere) pianificato con una o più interviste/dialoghi che vanno a toccare i punti individuati e riprese che mostrino l’ambiente o rappresentino certe situazioni. Infine il restante 30% del tempo sarà dedicato al montaggio che sarà facilitato dal fatto da avere già uno storyboard ben definito, dove inserire anche la musica, grafica e titoli per avere un risultato finale completo di tutto.

Il risultato

Tutto questo lavoro sarà un documentario che gli spettatori guarderanno volentieri, da cui impareranno qualcosa e trarranno ispirazione per loro. Nel film non si venderà niente ma si capirà tutta la passione del personaggio/i e l’esperienza accumulata negli anni. Questo è l’unico modo per creare una connessione che permetta di avere un gruppo di follower che poi seguirà il personaggio/i anche in futuro, almeno fino a quando si continuerà a dargli qualcosa. Il concetto di dare >< ricevere è alla fine quello che funziona fin dalla notte dei tempi facendo parte della natura umana, seguirlo rimane quindi l’unica strada sicura da percorrere. 

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